giovedì 18 dicembre 2008

SCIOPERO GENERALE DEL 12 DICEMBRE

Messa alle strette da un governo che vuole trasformare il sindacato in una risorsa per le aziende, incalzata da una critica interna, della Fiom in particolare, che chiede di uscire da una concertazione che ha portato solo frutti amari come la precarietà, sollecitata da comportamenti antiunitari delle altre due confederazioni, la CGIL ha finalmente proclamato lo sciopero generale.

La piattaforma si può sintetizzare nella duplice richiesta di strumenti veri di difesa del reddito popolare e lavoro vero per costruire una alternativa al presente modello sociale; dove l'attributo vero sta per conforme ad un diritto. La piattaforma è di quelle che aprono una stagione di mobilitazione; non è che l'inizio, è proprio il caso di dirlo.

La scelta di convocare cortei ovunque, in tutte le città e in tutte le regioni, segue giustamente l'intenzione di attraversare tutte le mobilitazioni già presenti suol territorio, in particolare quella degli studenti ma non solo quella. In difesa dei beni comuni, contro il consumo di territorio, per la ripubblicizzazione dell'acqua, per il diritto all'abitare, nonché tutte le iniziative per sottrarre i comportamenti individuali alle suggestioni mercantili, tante azioni dirette che nello sciopero generale hanno potuto trovare conferma.

La decisione dello sciopero ha ottenuto consensi al di sopra delle aspettative, ha contribuito a diffondere una visione non alterata della crisi, ha favorito la presa di coscienza dei problemi. Non è ancora l'annuncio di una svolta nel comportamento pubblico delle moltitudini ma certamente un passo in quella direzione.

Tanti piccoli passi sono già stati compiuti, da persone singole, collettivi e associazioni, soggetti sociali che non chiedono deleghe o rappresentanza ma traducono in azioni concrete la loro critica al neoliberismo. Da questo punto di vista - dell'autogoverno e dell'agire secondo l'etica della responsabilità - la strada da percorrere è ancora lunga, ma se la crisi sociale peggiorasse, come è probabile, potrebbe essere percorsa in tempi brevi.

Redistribuire i redditi, riportare l'economia finanziaria al servizio di quella reale, soddisfare bisogni e diritti piuttosto che richieste del mercato, far funzionare una razionalità economica fondata su valori sociali come la pace, la solidarietà, la cooperazione, il mutuo soccorso, la tutela dei “beni comuni” e lo stop al consumo di energie non rinnovabili: sono i passi di un processo di alternativa sociale che possono risuonare nelle parole della politica, ma devono risuonare subito in pratiche di “riappropriazione del maltolto”.

Tutto bene dunque ? Niente affatto. Lo stato d'animo che la decisione della CGIL ha indotto nei militanti “di un altro mondo possibile” è stato espresso bene dall'intervento in piazza del compagno Falcone, ma è un sentimento che chiede di essere comunicato subito, un sentimento che chiede di essere confermato subito in azioni che siano già adesso delle risposte alla domanda di diritti e di vita dignitosa che sale da ceti popolari sempre più ampi.

Si dice giustamente tassare le rendite finanziarie, tassare i ricchi, perché è evidente che la crisi la stanno pagando i ceti popolari, ma perché non si dice almeno con la stessa forza e convinzione che si devono “ridurre le spese militari” ?

Un bilancio gigantesco di miliardi di euro che ogni governo, in spregio ai principi costituzionali, si preoccupa di aumentare o confermare per finanziare strumenti di morte e avventure di guerra; un bilancio che potrebbe essere riconvertito in bilancio di pace per finanziare lavori pubblici utili a tutti, la manutenzione e il riassetto del territorio p e. ma anche l'incremento del patrimonio edilizio pubblico per avvicinarlo almeno agli standard europei.

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