venerdì 23 gennaio 2009

Sinistra Critica e il partito

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L'accelerazione verso la costituzione di un partito è quanto di meno convincente c'è nel documento del gruppo operativo nazionale. I risultati della sperimentazione di un anno, vissuto come associazione interna al movimento/movimenti, non si sono guadagnati neppure un cenno. Brutto segno, sembra che non si riesca ad andare oltre una dichiarazione di esistenza, il che ci lascia, come si dice, al palo, nonostante l'anno sia passato denso di avvenimenti.

(http://www.sinistracritica.org/content/obiettivo-smic-e-prossime-elezioni-il-coordinamento-di-sinistra-critica).

In più c'è un abbozzo di programma minimo che, in queste condizioni, riaffaccia le “astrazioni della politica” che si vogliono evitare. Si può parlare di programmi dimenticando l'uso ne è stato fatto in tempi recenti ? Con questo non si vuol dire che un uso diverso fosse possibile. Si vuol dire, più semplicemente, che alle condizioni date, qualunque esercizio attorno ad un programma si sarebbe trasformato in ritualismo elettoralistico.

I ritualismi elettoralistici non servono per riempire un vuoto di strategia. Vale a dire, non può essere eluso il problema di che cosa, percorso, condizioni, presenza di soggetti sociali attivi, ci deve essere tra un obiettivo e il potere di realizzarlo. Se quella cosa manca, bisogna applicarsi a quella affinché sia ricostruita o costruita ex novo. Il nodo della crisi della sinistra è questo.

In che modo raggiungere un determinato obiettivo di riforma, con quale esercizio di potere, è una domanda che ha attraversato, nel bene e nel male, tutta la storia del movimento operaio del 900; rovello di minoranze intellettuali spesso coincidenti con i gruppi dirigenti delle associazioni e dei partiti. Non è stato solo un esercizio intellettuale, il vero campo d'azione erano gli interessi materiali, ma soprattutto il ruolo e le culture delle varie classi sociali, nonché gli antagonismi che ne derivavano e il loro possibile esito.

Oggi, in questo Paese, una strategia nel senso su detto, e dunque un movimento politico in grado di porsi obiettivi di riforma, è in costruzione e i partiti della cosiddetta “sinistra radicale”, che la evocano, ne sono esclusi perché continuano a pensare di poterne avere il monopolio. D'altra parte ciò che affaccia il movimento altermondista è una intelligenza politica diffusa che, al livello più alto, non potrà essere costretta nella forma del partito. Così pure il movimento non potrà essere semplicemente rappresentato in queste istituzioni. Le esperienze di democrazia partecipata, che già ci sono e sono importantissime, lasciano aperto il problema essendo forme di partecipazione e di agire collettivo non di delega e rappresentanza.

Dunque la crisi della sinistra non è la divisione o la diaspora, quelli sono gli effetti maggiormente visibili, è invece la necessità di ricostruire un'alternativa di società nel vivo delle contraddizioni presenti, rinunciando a scorciatoie elettoralistiche che, allo stato attuale delle cose, possono solo confermare un regime sostanzialmente autoritario.

Questo compito non è disperante solo se si riesce a costruirne il senso attraversando gli antagonismi di cui la società è “levatrice”. Bisogna andare a questa scuola, riscoprire il ruolo delle minoranze intellettuali e l'importanza di “dare senso” a quel che accade. I partiti comunisti erano “datori di senso”, non semplicemente organizzazioni orientate alla presa del potere. Questa prerogativa è adesso più che mai necessaria considerando che il “pensiero unico” vale a dire il “dare senso” dei nostri avversari, è largamente egemone.

Anche questa prerogativa non può essere monopolio di un partito. Già adesso il movimento altermondista la attribuisce a persone singole, piccoli sodalizi, minoranze, comunità che “raccontano” un altro mondo (con originali immaginari e linguaggi) nel vivo delle contraddizioni sociali.

E' questa critica diffusa al presente sistema sociale e politico che ci deve interessare. Ci devono interessare tutte quelle esperienze, isolate quanto si vuole, in cui si affacciano pratiche di autogoverno, nel senso più lato del termine: dai conflitti sociali agiti in forma collettiva ai conflitti che si manifestano in tutto il campo dei comportamenti individuali. Sono conflitti “non autorizzati” e “fuori controllo”, che si sviluppano in gran parte fuori dalla retorica novecentesca e dai sui rituali, sono conflitti in cui può maturare un senso alle cose diverso da quello dominante.

Non siamo soli in questa impresa, iniziata con il movimento altermondista, i forum sociali, Genova e così via. Il “nuovo movimento operaio” non può nascere solo da noi e dall'esperienza politica europea alla quale “Sinistra Critica” sembra fare maggiormente riferimento. C'è un movimento “altermondista” non riconducibile ad uno, ricchissimo di esperienze quanto poverissimo di modelli di riferimento, un cumulo di esperienze che solo in America Latina ha assunto carattere nazionale e ha dato vita a forme particolarissime di potere popolare e di democrazia partecipata. Altrove, come da noi è ancora nella fase della sperimentazione, dell'accumulo, della costruzione di modelli e di senso.

In queste condizioni, costruire in fretta l'ennesimo partito prima ancora di essere una scelta suicida è una dichiarazione di impotenza. L'associazione deve fare un percorso in cui la sperimentazione del conflitto sociale e delle pratiche sociali alternative al modello dominante, siano il suo campo d'azione pratica e teorica (l'inchiesta, i seminari, una percezione non sommaria della realtà dell'associazione, la stessa raccolta di firme sulla legge di iniziativa popolare può essere uno strumento per questi esercizi).

Il risultato atteso deve essere un effetto accumulo, il crescere di una massa critica tale da estendere a parti sempre maggiori di società l'idea e la pratica di una alternativa. Stiamo già facendo questo, con altre realtà associative e di movimento diverse dalla nostra. E' questo che dobbiamo intendere quando parliamo di “livello più alto di iniziativa”: un livello più alto di conflitto e forme inedite di gestione del potere popolare.

Noi crediamo che sia ancora questo sperimentare il compito dell'associazione. Non condividiamo quindi l'ipotesi di una presentazione di liste alle europee.

I partiti sono dunque esperienze da buttare ? In periodi di crisi e di trapasso come questo sono più frequenti i dubbi che le certezze e soprattutto non c'è niente di fatale. Certo che se ci misuriamo con il dibattito di oggi ricaviamo solo un senso di spossatezza e di inutilità. RC una occasione l'aveva costruita e poi l'ha distrutta con la catastrofica esperienza governista. Quel che ne resta è paradossalmente diretto da uno dei maggiori responsabili di quella esperienza, un segnale non certo incoraggiante.

Resta, di positivo, l'eco di quella occasione perduta, che potrebbe però spegnersi definitivamente se, come sembra, “saltare il giro delle europee” venisse vissuto come un'ultima sponda e non come un'altra occasione per essere conseguenti nella scelta di opposizione più volte dichiarata.

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