martedì 10 giugno 2008




Tempi duri per i laici

Papa Benedetto XVI, in una delle sue ultime omelie, ha sottolineato con soddisfazione un proficuo mutamento del clima politico del paese, tema subito ripreso da Famiglia Cristiana, la quale non ha fatto mistero che in “parlamento esistano i numeri per cambiare la legge 194” e, aggiungiamo noi, altre leggi eticamente sensibili. A partire dagli anni 70 lo stato di salute della laicità nel nostro paese non è mai stato così basso ( anni in cui peraltro la politica era dominata da un partito che si chiamava Democrazia Cristiana!!).

Non riteniamo, tuttavia, che nella società civile sia avvenuta una deriva clericale; molto più semplicemente crediamo che un’intera classe politica (quella attualmente presente in parlamento) abbia ceduto, per vigliaccheria (centrosinistra) o per calcolo (centrodestra) la propria autonomia in materia di etica e di diritti civili, blandendo o per lo meno cercando di non scontentare le gerarchie vaticane. Gerarchie che, dopo anni di prudente ispezione del terreno, si sono rese conto di avere praterie aperte per le loro scorribande che vanno dall’ aborto alle coppie di fatto, dall’eutanasia ai fondi statali per scuole cattoliche, il tutto nel nome di “principi non negoziabili”.

Noi in quanto laici e democratici riteniamo che il Papa e le sue schiere possano prendere tutte le posizioni che ritengono più opportune e riteniamo altresì che abbiano tutto il diritto di indicare ai propri adepti la via da seguire. Ma allo stesso tempo riteniamo ripugnante che chicchessia possa fare della propria “morale” una legge dello stato. Anche noi laici abbiamo dei “principi non negoziabili” ai quali non vogliamo rinunciare, primo fra tutti quello del libero arbitrio, un principio sotto il quale sia il credente che il non credente può vivere la propria coscienza in piena libertà. Infatti, a differenza di quelli cattolici i nostri principi non sono impositivi, nessuna è obbligata ad abortire se non vuole, nessuno è obbligato a non sposarsi in chiesa se lo desidera, nessuno è obbligato a spegnere la spina se ritiene che la sua vita valga ancora la pena di essere vissuta. Ed allo stesso tempo non pesano sulle tasche dei contribuenti che non si trovano a pagare per scuole che non vogliono, per chiese che non frequentano o per stipendi di figure di discutibile utilità, quando non di sicuro danno.

Riteniamo che in uno stato civile nessuna morale religiosa possa farsi legge e che nessuna religione possa avere la possibilità di alimentarsi economicamente con soldi differenti da quelli che i credenti liberamente elargiscono per il proprio sostentamento.

Nota dei redattori Marco Ceste, Massimo Gamba, Carlo Sottile, Alberto Serventi, Francesco Coccia, Luca Squilia è di farne un testo per i giornali sottoscritto dal maggior numero di persone. Per aderire : carlo.sottile@tiscali.it oppure mceste@asl19.asti.it oppure maxgamba1@libero.it

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